Appartenenza


  
Strano, forse.

È già nostro. Non lo sappiamo, ma è così.

Tutto ciò che incontriamo, tutto ciò che abbracciamo, tutto ciò che aspettavamo, da tempo, era già per noi. 

Le attese non sono che consapevolezze.

Le viviamo come vuoti, ma non lo sono.

Sono strade. Già segnate. Ci portano a ciò che è nostro. Solo nostro.

Non basta capirlo. Occorre sentirlo.

Aspettiamo ciò che in realtà già ci appartiene.

Gli inizi non sono per tutti.


  
Ricordo perfettamente le lezioni del mio professore di psicopatologia all’università. Erano intense, profonde. Ne rammento una in particolare. Ci disse: “Ragazzi, voi vi troverete sempre a fare i conti con la fine di una storia. Ma per capire occorre tornare all’inizio. Sempre. E l’inizio non è per tutti”.

Confesso che non subito capii fino in fondo ciò che voleva dirci. Poi con il tempo, le esperienze, il mio vissuto e le persone che ho incontrato nel mio cammino, ho compreso.

Ogni nostra azione è una reazione. Ciò che accade non è frutto del caso. C’è sempre una spiegazione e sovente va cercata nel nostro passato. Per capire occorre scavare. Non è facile. È faticoso. Spesso logorante. È molto più semplice giudicare fermandoci al presente, a ciò che ci appare dinnanzi agli occhi. Il presente è il nostro viaggio, il futuro la nostra meta ed il passato il nostro bagaglio. Per capire occorre sapere ciò che ci portiamo dietro. Ed una volta consapevoli, possiamo decidere ciò che lasciare. Capire seleziona. Ed è per questo che gli inizi non sono per tutti.

Grazie prof.

L’abbraccio 


  

Come quando ti proteggi da tutto.

Anche da ciò che ti fa bene.

Anche da ciò che ami.

Anche da te.

Come se potesse bastare.

Come se potesse bastare a proteggerci.

Come se potesse bastare a proteggerci dal mondo.

L’abbraccio può tutto. Avvolgere. Stringere. Scaldare. Consolare. Riempire. Ricostruire. Proteggere. Da ciò che è fuori, forse. Da ciò che è dentro, di più. 

Due corpi che diventano uno. Io e te che diventiamo noi. E tutto fa meno paura. Forse. L’abbraccio va dato, va chiesto. È vera presenza.

Come quando l’unico rimedio

Sarebbe un abbraccio

Senza pelle


  
Ti proteggi. Come meglio puoi. Dagli altri. Da te. Esposta. Senza pelle. Anche una carezza può far male. Entra dentro, nelle viscere. Fa male.

Poi arrivi tu. Ricostruisci, con amore. Il tuo. Il mio. Il nostro.

Il tuo sguardo diventa la mia pelle. La mia protezione, dagli altri. Da me.

Le armature lasciatele a chi va in guerra.

In amore si vive disarmati.

A piedi nudi


  

Ho percorso tante strade nella mia vita, ma la più bella rimani Tu.

All’improvviso ti svegli e vedi le cose in maniera differente. Non so come accade, ma accade. 

Sono gli istanti che ci cambiano. Dentro.

Tutto scorre veloce. Tutto. Fermati. Rallenta. Goditelo. Assaporalo. Niente torna. Afferralo. Prendilo. Stringilo a te come se non esistesse un domani. Portalo nel tuo viaggio. Questo “tutto” fallo tuo. 

Sono gli istanti che ci cambiano. Dentro.

Fu così che un giorno decisi di togliermi le scarpe. Sentire la terra, la strada da percorrere. Mi spogliai di tutto. “Porterò solo l’essenziale: me”. Per sentire il vento sulla pelle. Per sentire il sole addosso, ma anche la pioggia. Per sentire te. Per sentire me. Per sentire. 

Senza scarpe. A piedi nudi. È così che dovremmo vivere. È così che lasciamo orme.

Noi ombre.

Accadiamo


  

Certe carezze ti fanno sentire a casa.

Sentiva ancora il suo odore addosso.

Sentiva ancora le sue mani calde e grandi sul suo corpo.

Sentiva ancora la sua bocca vorace, divorare la sua.

Non era lì con lei, eppure riusciva ancora a sentirlo. Dentro.

Non c’era stato nulla di pianificato, costruito tra loro. Nulla. Il bene, l’amore, la passione. Tutto nacque lentamente e si insinuò nelle loro viscere, piano, ma inesorabilmente.

Non si dissero molte parole. Tutte già spese. Erano i corpi che avevano tanto da dirsi e da darsi. Le mani che cercavano la pelle. Le labbra che ardevano, desiderose di mangiarsi. Fecero l’amore assaporandosi. Godendo del piacere l’uno dell’altra,  non si staccarono gli occhi di dosso. Era un cercarsi e trovarsi continuo. L’istante prima, l’istante dopo, il durante. Tra di loro era straordinario sempre.

La faceva morire lentamente con le sue mani, per poi farla rinascere con il suo sguardo, che la desiderava ancora, e ancora, e ancora. 

“Sei l’ultima donna che voglio amare nella mia vita” le sussurrò all’orecchio, mentre le scostava i capelli per baciarle piano il collo. Lei lo guardò con i suoi penetranti occhi verdi pieni di lacrime. Gli accarezzò la guancia, sfiorandogli la barba. Amava tutto di lui, persino ciò che odiava.

Si salutarono, consapevoli che non sarebbe finita. 

Accade spesso che le cose accadono,

a prescindere da noi,

nonostante noi,

ed è meraviglioso.

Esserci


  
Ci sono.

Sono qui.

Eccomi.

Parole, sì, parole con un peso. Perché le parole hanno un peso, sempre, ma alcune alleggeriscono. Tolgono fardelli pesanti. Zavorre. 

Non è necessario far rumore per far sentire la presenza. Essa può essere anche silenzio. Un abbraccio, una mano stretta, una carezza. 

La presenza non si vede, ma si sente. Anche da lontano.

Tutto passa, ma alcune persone rimangono. Rimangono persino quando tu non ci sei. Persino quando le mandi via. Persino quando le lasci andare. Restano. Per sempre. Se non accanto, restano dentro.

Esserci, è quando molli la presa e l’altro stringe di più.

Gabbia


  
Vivi. O ti sembra di farlo.

Respiri. O ti sembra di farlo.

Cammini. O ti sembra di farlo.

Sei libero. O ti sembra di esserlo.

A volte non la vedi. Ma c’è. Ti avvolge. Fai finta di nulla. Poi capita che ci sbatti contro. Fa male. Non ha sbarre. Non c’è porta. Non c’è via d’entrata, né d’uscita. Come è possibile?

Ci sei nata, dentro.

Ci hanno creato in gabbia.

Vedi gli altri, ti sembra di toccarli. Illusione. Anche loro ne hanno una. Ci sono dentro. Come te. Ti divincoli. Vuoi uscire, liberarti.

Non puoi. O forse si.

C’è sempre una via d’uscita. Sempre.

L’unico modo è distruggerla. A mani nude. Non hai armi. La tua forza. Sola. Tu e lei. È una battaglia e sai che vuoi vincere. Puoi. 

A volte la stanchezza incombe e desisti. Poi riprendi. Le mani sanguinano, ti fai male, ma continui. 

Uscire. Per andare dove?

Altrove. Altrove da te. O forse da me.

Siamo nati liberi, in gabbia.

Capovolgere i riflessi


  
Strana la vita.

Inizi a camminare. Osservi. Il mondo ti gira intorno. Le persone passano, alcune accanto, altre rimangono distanti. C’è chi ti sfiora, chi ti prende, chi ti lascia (senza fiato). Poi ti fermi. Stai. Respiri stando in apnea. Ti guardi.

Sei tu. Riflessa. Non ti riconosci. Capovolta. Testa all’ingiù, senza cadere.

Rimani lì. Ti accorgi di avere i piedi a terra. Un istante. Barcolli.

Sei tu riflessa. Ti riconosci. Capovolta. Testa all’ingiù e cadi.

Consapevolezza.

Alla ricerca


  
Ognuno di noi cerca un posto, un luogo che sia “casa”.Spesso, cercando un luogo, incontriamo persone che diventeranno ciò che stavamo cercando.

Viaggiamo. Con il corpo, con la mente. Siamo instabili, seppur immobili. Cerchiamo pace in quell’altrove che altro non è che un posto fuori da noi.  

 Esiste? 

Sto camminando e mi guardo intorno ad occhi chiusi per trovare quel posto:

un “altrove da me”.